San Gregorio Armeno nel Seicento

A contribuire all'implosione demografica fu l'intrusione lesiva della libertà individuale delle monache residenti da parte dei poteri di Roma da dove provenivano sempre nuove leggi.
Da dove poi estrarre ogni volta sempre e nuove afflizioni, come lo furono, ad esempio, gli effetti delle normative locali del Cardinal Ascanio Filomarino intervenuto a ridimensionare persino il numero delle serve particolari3 e senza volerlo avviare anche un processo di riforma sulla dote della monache.
Ma anche i moti del 1647, la peste del 1656 apportarono grandi avvicendamenti nel numero complessivo delle residenti e non fu estraneo certo il mutare inevitabile del ruolo della donna nella società demograficamente e democraticamente cambiata4.
Fu quello anche il secolo da ricordare come il secolo degli abusi commessi a danno delle regole sulla dote che accompagnava di diritto l'ammissione della monaca alla vita del monastero. Vi fu un acceso dibattito di natura giurisdizionale su questa faccenda della dote da rivedere indubbiamente alla luce dei tempi nuovi; la discussione assunse però i caratteri anche politici dal momento che sull'indotto della dote cadevano gli interessi patrimoniali di banchi, del fisco e la manomorta ecclesiastica. E fu quello dunque anche il secolo del mutamento delle regole imposte sulla dote della monaca ammessa alla vita di clausura5 tanto da trasformare l'assetto fiscale della città in maniera abnorme, rendendo di fatto ricchissimi i monasteri e non da meno anche il monastero di San Gregorio Armeno.
Spazio note
(1) San Gregorio Armeno: storia religiosa di uno dei più antichi monasteri napoletani di Felice Autieri in: FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE SAN GREGORIO ARMENO Storia, architettura, arte e tradizioni a cura di Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio fotografie di Luciano Pedicini Fridericiana Editrice Universitaria edizione italiana Maggio 2013 Stampato in Italia da Liguori Editore – Napoli Fotografie di Luciano Pedicini/Archivio dell’Arte, assistenti alle riprese Marco e Matteo Pedicini Tranne le fotografie alle pp. 97, 98, 99, 121 dx e 160 fornite direttamente dagli autori Spinosa, Nicola (a cura di): San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni/Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio (a cura di) Napoli : Fridericiana Editrice Universitaria, 2013 ISBN 978-88-8338-140-9 (BR) ISBN 978-88-8338-141-6 (RIL) 1. Monasteri femminili 2. Napoli 3. Storia religiosa I. Titolo La carta utilizzata per la stampa di questo volume è inalterabile, priva di acidi, a PH neutro, conforme alle norme UNI EN Iso 9760 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS).(2)
Oggetto della angosce delle monache fu il sopraggiungere del maggiorascato romano sui poteri forti dell'episcopato napoletano iniziandosi a paventare l'uso di nuovi mezzi di coercizione minacciare in luogo di procedere alla risoluzione di problemi ereditati dal secolo precedente, ed ovvero, la presenza nei monasteri di vocazioni apparenti o poco significative. La minaccia consistette di tenerle separate dagli affetti dei parenti durante le ore di colloqui che si tenevano regolarmente in parlatorio fu quella di frapporre tra questi e quelli una grata di ferro Ad esser precisi la grata di ferro, uno strumento di clausura tra i più classici e l'unico sopravvissuto all'era moderna ed ostentato per la didattica, la ricerca, lo sviluppo di nuove forme di turismo sostenibile è preso in considerazione, qui, in questa sede, come il segno dei tempi nuovi per il Seicento italiano e non meno anche del Seicento napoletano, determinato dalla mediazione del maggiorascato di Roma tra la singola libertà individuale di ognuna delle monache vocande o delle professe solenni residenti presso qualche clausura e la società civile che continuava a crescere di numero oltre che di patrimonio immobiliare attorno ai monasteri. Non solo la grata di ferro, ma anche altre restrizioni diedero inizio a questa sorta di mediazione. L'impedimento dello scambio di doni, ad esempio, che spesso avveniva nelle aule del parlatorio tra le monache ed i propri familiari, prese parte alla serie di strumenti detti coercitivi della vita claustrale alla luce delle riforme secentesche, ed anche il semplice scavalcare la volontà della madre superiora, addirittura il vescovo locale, la circoscrizione degli spazi dedicati, il numero delle applicazioni però pur risolvendo un problema inevitabilmente ne creavano un altro. Infatti, tutte le monache sopraggiunte nel monastero in età adulta, riparate da una situazione sociale disastrata da un matrimonio impossibile, versavano al monastero quote di molto superiori alle vocazioni autentiche. Va aggiunto che a sborsare somme ingenti per esser ammesse al monastero anche tutte le vocazioni programmate per le vocande ammesse alla clausura in tenerissima età. Mac diffusione e l'esecuzione capillare delle prescrizioni della riforma voluta da Clemente VIII, contenente essenzialmente un'enormità di compromessi di varia natura per godere anche essa del favore e della protezione dei dettami della riforma precedentemente istruita da V e dalla quale dichiarava di discenderne, rappresentarono oltre che un motivo di cambiamento anche un movente estintivo della vita claustrale. E persino nel caso Napoli e San Gregorio Armeno l'intrusione della Chiesa di Roma nell'organismo curiale napoletano diede risultati ottimi e quasi insperati prima. Giuliana Boccadamo, Donne e clausura in età moderna. Strategie familiari ed economia in alcune pubblicazioni recenti, «Sapienza» XLVII (1994), 212
(3)Secondo le abbondanti notizie fornite da Felice Autiero su questo secolo e su questo monastero in verità il Seicento fu l'epoca dell'avanzare di una profonda riforma di un regno monastico diviso in due; da una parte i monasteri, come scrive il ricercatore, che nulla ebbero mai da rimproverarsi aggiunti a quelli che sorgevano da nuovo fermento spirituale, e dall'altra parte invece i monasteri di antica fondazione, quelli più riotttosi a cambiare stile di vita, specie per la questione delle serve particolari. È nota l'abitudine fuori regola per le monache ricche e nobili di vivere in monastero secondo le agiatezze del secolo, e quindi con una propria serva particolare, che finiva quasi sempre per diventare pure essa una monaca quando la sua signora fosse deceduta o allontanata dal monastero. I monasteri che rifiutavano di accettare le nuove prescrizioni dettate dalla riforma furono alla fine in numero maggiore rispetto a tutti quanti gli altri, una situazione questa terribile se solo si pensava al fatto che proprio questi stessi luoghi di preghiera indecisi ad abbracciare le nuove regole della vita monastica rischiarono la sopravvivenza senza alcuna altra monacazione. Secondo lo studioso ciò che fece maggiormente storia di questo disastro fu l'insensibilità dell'episcopato in generale, troppo preso, scrive nel documento, da problemi diversi quali quelli emersi dalla crescita demografica, il numero sempre enorme dei chierici contro un numero esiguo di laici, e alla fine quello delle monache divenne di fatto un problema secondario. L'unico nel napoletano ad aver preso a cuore questa situazione fu il Cardinal Ascanio Filomarino, il quale, nelle sue copiose lettere inviate al papa, accusava senza ritegno i suoi confratelli vescovi peggio di favorire la malattia delle false vocazioni trascurando di adeguare le leggi locali che pure potevano rappresentarne un freno. Quindi con la locuzione di Il Seicento di San Gregorio può intendersi liberamente il concetto già chiarito dal professor Autiero e cioè che l'equilibrio politico ed immobiliare di monasteri antichi con false vocazioni e di quelli di nuova fondazione costruiti sulle suggestioni di spiritualità escatologiche, quindi vivai di autentiche vocazioni, non potè che considerarsi il risultato di una società civile che stentava ad abbracciare il moderno, e perciò quindi restando ancorati a vecchie abitudini di classe tendevano a sacrificare le proprie figlie cosiddette in esubero destinandole inevitabilmente alla vita di clausura. Va detto allora che l'opera del Cardinal Filomarino fu intuita dalle nobili famiglie come un'intrusione lesiva da parte della chiesa nei regolamenti di vita della nobiltà e dell'antico mondo monastico femminile; fu perciò anche dalle monache stesse percepito come un altro attentato alla propria libertà personale, come fosse un turbamento inflitto con nuovi codici, nuovi commi da attribuire a leggi già calpestate, insomma, una nuova ventata di normativa che induceva le claustrali a rimettersi alla vita della Regola, minaccia questa già tremendamente vissuta e combattuta durante tutto il Cinquecento.
(4)Cf. Bartolommeo Capasso, Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica e sulla popolazione della città di Napoli dalla fine del secolo XIII fino al 1809. Ricerche e documenti, Napoli 1883, 217.
(5)Non era infatti mai capitato prima d'allora che le famiglie nobili, che d'abitudine sappiamo acquartieravano in qualche monastero le figlie femmine che non si potevano per qualche ragione maritare, che versassero una quota corrispondente ad un censo annuo facendo per l'appunto riferimento all'infruttosità fin da allora restituita dai fondi presso i vari banchi presenti in città. I versamenti fino ad allora erano stabiliti nell'ammontare tutto e subito; fu per questo motivo, si pensa, che ci si avvalse della facoltà da parte del badessato di richiedere anticipatamente quattro annate alle famiglie nobili che chiedessero residenza presso il proprio monastero per un proprio membro femmina.
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