Pizzofalcone

E' uno dei quartieri di Napoli1, grossa area urbana sviluppatasi prevalentemente in pendenza nella zona dei Quartieri Spagnoli.

Fu riorganizzato come quartiere tra palazzi antichi ed estrazioni moderne solo in seguito al PRG classe 1925. Scarica i grossi pesi del suo patrimonio immobiare in parte sul massiccio fronte occidentale della Galleria Vittoria.

Infine, il quartiere vero e proprio, è stato fondato su terreno ad orografia accidentata, tra diversi, impraticabili salti di quota, e l'area pende ad ovest del versante opposto alla collina soprammare, separata dal fondo valle del quartiere di Chiaia

Sta adagiato sul promontorio che porta il suo nome e ad esso è assicurato il Ponte di Chiaia, ideato e costruito nel 1636, prima in legno poi in muratura per opera del Regio ingegner Picchiatti. Il ponte fu pensato giustamente come percorso carrozzabile che agganciasse il fronte roccioso di Santa Lucia al Monte col piccolo borgo a mare di Santa Lucia, fino a quell'epoca stretta nei confini inabissati del quartiere, sul territorio attraversato dalla Via del Chiatamone, ed il costone tufaceo all'apice del quale si trova l'antichissima Badia di Santa Maria a Cappella Vecchia oggi la sede della Comunità Ebraica Napoletana e la villa di Andrea Carafa1bis.


Le prammatiche sull'edilizia e la crescita urbana di Pizzofalcone.

Ed ancora un fronte aperto sul Pallonetto in direzione di piazzetta Mondragone, il ponte stesso che aggancia Pizzofalcone all'area nord è assai frequentato.

  • Anche all'epoca della sua stessa fondazione per l'approvvigionamento di viveri e di cose alle chiese del circuito oggi di Santa Lucia al Mare, Santa Maria della Catena a Santa Lucia, Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone, San Carlo alle Mortelle, Santa Maria delle Grazie al Ritiro Mondragone, il monastero di Santa Caterina da Siena, la chiesa di Santa Maria Apparente e Santa Lucia a Monte queste ultime nell'area detta del Poggio delle Mortelle, e su su percorrendo le falde di Sant'Elmo2Al tramonto delle Nobiltà di Seggio, l'aristocrazia togata, di cui le zone dei Quartieri ne sono effettivamente una diretta emanazione, riuscirono ad eludere le prammatiche sull'edilizia civile intenzionate a contendere e poi infine sottrarre agli Ordini religiosi più e più suoli su cui edificarci il grosso delle porzioni dei borghi3 dove in realtà, va detto, c'ebbero già messo mano per riordinare i fatti scompaginati dalla rivolta di Masaniello. Già nei primi cinque anni del 1700 l'edilizia civile ha subito una tale accelerazione che la cittadella spagnola specie nella porzione lato mare non ebbe, a detta del Celano, "altro palmo di terra non abitato, trasformata in una contrada su per il monte affollata di palazzi tutti ben ordinati" e ad ogni modo per tempo, alla fine degli anni Dieci del 1700, si presentava accomodante dove alla vaghezza dei luoghi andavano ad aggiungersi sempre più lotti disponibili su cui continuare ad edificare. Pizzofalcone, racconta il Celano, è la più giuliva, salubre, nobile, comoda e frequentata terra per la vicinanza della corte, e cioè l'area dominata dal Palazzo Reale, con facciata aperta su piazza del Plebiscito, testimonianza che trova conferma nelle vedute di Lusieri e di van Wittel, che si presentano, però, rispetto ai discorsi del Celano, molto più dirette e tra l'altro, va aggiunto che restano molto più precise e dettagliate se messe a confronto con la tavola Baratta e la mappa del Duca di Noja4. L'intervento dell'architetto Nauclerio a raccordare la facciata della chiesa del ritiro della duchessa di Mondragone, sui lavori già posti all'opera dall'architetto Arcangelo Guglielmelli, con gli edifici di proprietà delle famiglie Francucci, ne farà risultare una piccola esedra che affonda direttamente nei giardini pensili degli Stigliano divenuti poi col tempo proprietà del pricincipe di Cellamare il quale la trasformerà nella sua sfarzosa residenza5. Sul lato opposto del ritiro Mondragone, nel punto nella zona non interessata dalle trasformazioni del Nauclerio, eretto magnifico e superbo il palazzo appartenuto al Duca Calà di Diano e più a valle il palazzo D'Andrea, che da solo farà la storia dei Quartieri6 . E' vero infatti che questo palazzo venne ceduto, che sarebbe meglio dir venduto da Gennaro D’Andrea (1637-1710) reggente del Consiglio d’Italia presso la Corte di Spagna, il quale, nel 1696, tornato in Italia, andò ad abitare nella casa del fratello Francesco a San Carlo alle Mortelle e messo a riposo, dunque dal nuovo governo austriaco, caduto diciamo in povertà alla vendita delle proprie cose seguì quella del palazzo in questione acquistato dall'eccentrico Giovanni Brancaccio, segretario di Carlo di Borbone e soprintendente della Reale Azienda, che non ci pensò due volte, annota Bernardo Tanucci, di cacciar ventisettemila scudi, acquistare il palazzo e andar dicendo in giro di voler metter il mondo sottosopra continuando ad acquistare tutto ciò che stava intorno al palazzo medesimo e costruirci nuove case palazzine, strade, chiese e piccoli conventi fissato in particolar modo di fondare la sua città brancaccina; in pochi mesi nulla di tutto ciò, tuttavia il marchese riuscirà nell'impresa di legare il proprio nome a questi luoghi. Gli stretti tornanti che da Chiaia introducono al soprastante borgo, infatti, dove si trova il palazzo mantengono ancora il nome di rampe Brancaccio7 . Il frazionamento delle estesissime proprietà fondiarie, l'abbandono generalizzato del complesso immobiliare votato al culto cattolico in favore della speculazione sull'edilizia civile, fenomeno per altro alla base delle trasformazioni profonde dei Quartieri nelle zone di Chiaia e Pizzolfalcone e più su anche al Poggio alle Mortelle.

I termini più chiari della decadenza del quartiere di Pizzofalcone. 

Il superamento di taluni valori critici fu possibile solo traducendo un ampio senso di decadenza urbanistica con la scomparsa delle zone di verde.

  • Ma anche con il riempimento delle aree sui frontali delle strade, in un forte contributo dato contro il degrado materico degli edifici con interventi spesso irrispettosi dei contesti orginari, la mutata geografia sociale e le alternate vicende storiche permettendo a questa particolare zona dei Quartieri di decadere in un senso più ampio del termine. Dalle ultime vedute cartografiche è ancora possibile fino alla metà del XVII secolo accorgersi delle disposizioni planimetriche di ville, masserie e casini rurali oggi non più esistenti o destinati ad altro uso oppure dalle municipalità aperte alle attività diversificate; si può ad esempio ancora ammirare la villa dell'abate Carafa, primo nucleo del Palazzo Cellamare, minime tracce della villa dell'arcivescovo Caracciolo dell'Isola ai piedi del Castel San Martino, sulle quali è stato dato fondamento alla trasformazione in pochissimi anni della suddetta villa nel complesso monastico della Concezione di Suor Orsola Benincasa8. Sopravvivono tutt'ora alcuni terrazzamenti sul fianco collinare dei Quartieri, un tempo sede delle masserie del marchese Carlo De Tappia, e ancora antichissima l'infermeria dei frati agostiniani incapsulata come rudere alieno nel giardino pensile del convento di San Nicola da Tolentino. Uno degli edifici invece più notevoli sulla sommità del Poggio delle Mortelle ai Quartieri Spagnoli è il Palazzo dei Santi Francucci, confinante a Sud con la villa del principe Carafa di Stigliano; il palazzo dei Santi Francucci è a pianta quadrangolare visibilissimo nelle cartografie di Lafréry (1566), esistente già dal 1618; è possibile ma mai verificato che il Francucci venne qui a trasferirsi per la salubrità dell'aria, e non piuttosto, come s'è sempre creduto per gli impegni di ricavar guadagni dagli affitti dei locali dove visse tutto il tempo in “platea graecorum” ovvero nell'attuale zona dove oggi ancora si ammira la chiesa dei Santi Pietro e Paolo dei Greci9.


Spazio note

(1) Estratto a lavoro postumo e adattato seguendo i testi di Emilio Ricciardi, Dottorato in ricerca su “Il Poggio delle Mortelle in Storia dell'Architettura e della città” XVII ciclo COORDINATORE: PROF. ARCH. FRANCESCO SAVERIO STARACE, TUTORE: PROF. ARCH. MARIA RAFFAELA PESSOLANO.
(1bis) E a proposito delle carrozze che andavano e venivano su e giù per le sommità dei Quartieri Spagnoli, si ricordano nomi eccellenti primo fra i tanti il giurista reggente di Cancelleria Carlo de Tappia, che qui ha avuto degna residenza con omonimo palazzo; come anche Stefano Carrillo y Salcedo, decano del Collaterale, noto collezionista d'arte con palazzo e terrazza affacciata sul Golfo di Napoli. Ed ancora le celebrità del Foro, gli avvocati Francesco D’Andrea e Serafino Biscardi, marchese di Guardia Alfiera e fiscale della Sommaria; il reggente Luca Jacca y Nino, prefetto dell'Annona proprietario del magnifico palazzo Pignatelli di Monteroduni ed infine e non ultimo il duca di Diano Carlo Calà, reggente di Cancelleria, e il suo amico e sodale Diego Maria Soria Morales, marchese di Crispano e regio consigliere, due spregiudicati industriali dell'epoca ch'ebbero pochissimi scrupoli negli affari, comportamento che li legò per sempre agli altri grandi nomi della nobiltà napoletana ed in particolar modo dopo, a quelli della rivoluzione del 1647.
(2) [(L. DE LA VILLE SUR-YLLON, Il ponte di Chiaia, in “Napoli nobilissima” I s., I (1892) mentre invece le dichiarazioni rese dal Parrino di poco successive a quelle del Celano relative al ponte di via Chiaia eccole: ”Per un ponte di pietra fatto a spese de’ complateari a tempo del Conte di Monterey, si passa alla contrada delle Mortelle, anche ricca di Palagi, fra’ quali sono commendabili quello del Reggente Carriglio, oggi posseduto, per compra, dal Reggente Serafino Biscardi, quello del Reggente Jacca, oggi di D. Luise Pignatello, quello del Duca di Diana Calà, del Reggente d’Andrea, e [...] più sopra […] il Palagio de’ Prencipi di Cariati Spinelli”.,]
(3) Sul rapporto tra edilizia ecclesiastica e civile nella zona occidentale di Napoli.( cfr. G. CANTONE, La chiesa napoletana di S. Carlo a Le Mortelle..., cit..)
(4) (“Luoghi son questi e per la temperie dell’aria e per lo diletto della vista e per la fertilità dei giardini, nei quali pare che la natura v’abbia posto in situarli quanto di buono e quanto di allegro poteva dar loro [...] e pei grandi e ben ordinati palazzi che vi sono, e per la continuazione dei palazzi divisi da ampie e allegre strade [...] che simili non credo si possano immaginare in Europa […] Ci siamo distesi in questo per dar notizia di questa sì bella parte di Napoli che da pochi forastieri va osservata; benché al mio parere sia la più bella che va inclusa nella città, benché apparisca borgo” (Cfr. C. CELANO, Notizie…, cit., ediz. con aggiunte di G. B. Chiarini, IV, Napoli 1859, p.584)
(5) (Sul palazzo Cellammare cfr. F. DIVENUTO, Pompeo Schiantarelli, Napoli 1984; M. PISANI, Un inedito di P. Fabris su Palazzo Cellammare e precisazioni su van Wittel, in “Napoli nobilissima”, s. III, XXXI, pp. 206-213; ID., Per la storia del palazzo Cellammare: gli inventari inediti dei beni mobili di Costanza Eleonora Giudice (I), in “Napoli nobilissima”, s. III, XXXIV (1995), pp. 179-202; ID., Documenti per la cappella di palazzo Cellammare: interventi di F. Fuga e G. B. Nauclerio, in “Napoli nobilissima”, s. III, XXXV (1996), pp. 52-54; ID., Per la storia del palazzo Cellammare: tracce ed ipotesi per il contesto storico e precisazioni su van Wittel, in “Napoli nobilissima”, s. III, XXXV (1996), (I), pp. 81-114, e (II), pp. 201-226; S. SAVARESE, Palazzo Cellammare. La stratificazione di una dimora aristocratica (1540-1730), Napoli 1996; EAD., Un’opera inedita di Ferdinando Manlio: il palazzo Carafa di Stigliano a Napoli, in Napoli, l’Europa. Ricerche di Storia dell’Arte in onore di Ferdinando Bologna, a cura di F. Abbate e F. Sricchia Santoro, Catanzaro 1985, pp. 149-152; M. PISANI, Palazzo Cellammare, Napoli 2003.)
(6) (Gennaro d’Andrea (1637-1710) fu reggente del Consiglio d’Italia presso la Corte di Spagna. Nel 1696, tornato in Italia, andò ad abitare nella casa del fratello Francesco a San Carlo alle Mortelle. Cfr. D. CONFUORTO, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, a cura di N. Nicolini, II, Napoli 1930, pp. 174-175. D. T. BIAGETTI, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXII, Roma 1987, pp. 536-537, s.v..)
(7) (BCR, ms. 2492 bis, Lettere di Bernardo Tanucci a Bartolomeo Corsini, XXIII, riportato da R. AJELLO, La vita politica napoletana sotto Carlo di Borbone. “La fondazione e il tempo eroico” della dinastia, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1968, p. 647; su Giovanni Brancaccio, segretario di Carlo di Borbone e soprintendente della Reale Azienda, cfr. G. DE CARO, ivi, XIII, Roma 1970, p. 776-780, s.v.)
(8) (Cfr. U. DOVERE, La “Voluntaria congregatione…, cit..).
(9) (ASN, Notai del XVII secolo, scheda 107, prot. 7, ff. 1 ss. [1618]. e ancora: scheda 560, prot. 11, ff. 83v [1619]. ed ancora: scheda 107, prot. 9, ff. 21 ss., 182 ss., 375 ss. [1620]) Alla morte del Francucci, il fratello di costui la cedette in affitto al duca Camillo Colonna, accademico degli Oziosi, fondatore del circolo letterario e filosofico ricordato da Lorenzo Giustiniani con il nome di “Accademia delle Mortelle”; il sodalizio ebbe tra i suoi frequentatori alcuni dei più illustri nomi dell’ambiente culturale napoletano, da Luigi Sanseverino, principe di Bisignano, al marchese Giovan Battista Manso, promotore del Pio Monte della Misericordia, dal futuro cardinale Girolamo Casanatte, fondatore della biblioteca Casanatense, al giovane Francesco D’Andrea. (“Voglio che un giorno vediate casa di Santi Francucci, dove con molto diletto vi si rappresentarono una testa di Cleopatra di lapis, opra del Bonarroti. Un tondo grande c’hà una Madonna la qual tiene in seno un bambino che dorme, e con un S. Gennaro, di Gioseppino Ceseno, e dell’istesso un quadro grande di S. Giovan Batttista, un S. Gregorio, un’Aaron Sommo Sacerdote, una madonnina col figlio che dorme, un’Angelo Custode, un quadretto di S. Andrea che và al martirio, un S. Paolo primo Eremita. un quadro con un Angelo assai grande, un San Pietro pentito, una Santa Caterina di Siena, un ratto di una donna, certi monstri marini di lapis rosso, un quadretto di tre figure ignude disegno del medesimo, come anco un quadretto di Adamo & Eva di pastelli, cosa rara. Senza dir mò un S. Bartolomeo scorticato di mano del Cavalier Ribera, e del medesimo un san Francesco, otto quadri di perspettiva del Monsù, un quadro grande del Paradiso del Moncolo siciliano, e dell’istesso molti quadri di battaglie, Pietro e Paolo che vanno al martirio, un banchetto di Musica del Mantovano, oltre al Crocifisso d’avorio dello Spagnolo rarissimo, & un’altro di Bosso. & altre cose di Carlo Sellitte, del Magnorra, del Venetiano, di Luca d’Olanda, & altri valent’homini, con le sette Arti liberali dipinte in una Sala de i primi pittori che siano in Napoli” (G. C. CAPACCIO, op. cit., III, p. 576).)