Zona Nilo

Zona Nilo1 o anche detta "platea Nidi", è un tracciato urbano occupante l’area occidentale del centro storico UNESCO della città di Napoli.

Tutta quanta la zona è sorta in un lento e graduale processo fondiario opposto a tutti gli altri comparti urbani afferenti alla parte greco-romana di Spaccanapoli2, intensamente urbanizzata in epoche più recenti.

Là dove, cioè, è presumibilmente verosimile credere sia andata popolandosi sempre di più a partire dalla prima età angioina, con regole d’insediamento estratte dal variegato mondo delle consorterie privilegiate a stare ad abitare in questa zona per il solo fatto di esser legate ai seggi della città feudale3 e dal maggiorascato dei nobili giurati alla legislazione di Federico II di Germania.

Si tratta quindi di una zona di Napoli ad altissima e formidabile concentrazione di palazzi nobiliari e casa agnatizie tenute unite a blocco e realizzate in soli duecento anni di attività edilizia iniziata dal turbolento regno aragonese in guerra con l’ultimo dei re d’Angiò, proprietario tra l’altro di un numero enorme di case e palazzi storici distribuiti sul lento versante dell’antica collinetta del Monterone.


L'orografia dei luoghi della Regio Nilensis ed il patrimonio immobiliare della zona.

Ma a polarizzare la vita sociale dell’intera zona del Nilo a Napoli è indubbiamente stato fin dalla sua prima esistenza urbanistica, piazza San Domenico Maggiore.

  • La regio Nilensis così come spesso è ricordata nelle indagini di ricerca avvenute anche in occasione di scavi archeologici profondi attorno al palazzo Corigliano nel 1990, e che interessarono una zona così tanto ampia da raggiungere piazza Bellinivia di Santa Maria di Costantinopoli al Museo, fino a piazza Cavour, è delimitata oltre l’assetto urbanistico di piazzetta Nilo a cui ha dato nome e dalla stessa via Nilo, la strada più lunga e più larga che la collega tra i due decumani, quello inferiore con quello superiore. Ed ovvero, quell’area, cioè, compresa tra Rua Catalana, il vecchio bacino del Mandracchio ed il pallonetto a Santa Chiara, e terminata con la costruzione fuori sede del palazzo Sansevero e l’abbellimento di palazzo Corigliano. Mentre alla dinastia dei Pignatelli andranno i miglioramenti urbanistici magistralmente condotti tra il Sei e Settecento, relativamente al comparto degli Alessandrini, oggi, individuabile laddove è installata la statua del dio Nilo, il palazzo di Ludovico di Bux, il Panormita ed il palazzo dei Carafa di Montorio, fino ai D’Afflitto e dai membri di casa Della Monica per i primi dell’Ottocento, questi ultimi più portati ad occupare il settore di Purgatorio all’Arco a via Tribunali4. Si presenta circoscritto tra microaree di diversa estrazione storica, la chiesa chiusa dei Santi Andrea e Marco a Nilo definisce il limite del territorio più ad est. Continuano in direzione di San Martino: il palazzo dei Bux, il palazzo dell'Ermafrodita, la chiesa di Santa Maria in Donnaromita, la cappella Brancaccio, l’apertura in epoca fascista dello scalo di via Mezzocannone,  segue il palazzo dei Casacalende il tratto di Via Benedetto Croce relativamente al palazzo dei Carafa della Spina.  L'invaso della piazza è dato anche la sua vicinanza ad un altro importante edificio del centro antico in quest’area, il Seggio di Nido5 elemento di riferimento sempre costante da un punto di vista topografico, importante per aver dato dimora nel 1320 al Gran Camerario, conte di Caserta, Diego della Ratta e alla moglie Odolina di Chiaromonte, ed al segretario personale di Alfonso I, Giovanni Olzina, per qualche tempo anche alla regia tesoreria di Corte ed infine usato come deposito dei drappi e delle merci6. Motivazioni culturali antecedenti l’avvento del Seicento spinsero la nobiltà di corte ad insediarsi presso questa zona, principalmente perché più vicina alla distesa di largo di Castello, oggi piazza del Municipio, sede fisica della presenza sul posto del Maschio Angioino; tutta l’area quindi, sarà posseduta in ricchezza di manufatti e piccoli orti, poco spazio dedicato alla socialità pubblica, ma molto occupato per lo sfarzo e lo sfoggio del casato di appartenenza e soprattutto sfruttando, dal tardo Cinquecento in poi, quel poco di spazio libero come suolo edificabile su cui continuare a misurarsi ancora una volta in forza con le altre famiglie nobile schiatta; fu questo il caso dei Carafa, nella persona di Diomede e la lunga, secolare vertenza con gli eredi che se la contesero.

La zona nilo ed il valore della proprietà magnatizia. 

  • La valenza ideologica della domus, nel caso di Diomede Carafa, funzionario della monarchia aragonese, lo spinse ad occupare una preesistenza sempre di proprietà della famiglia sul posto, poco più a nord della via dei Pastori, e rinnovandolo e ristrutturandolo ne ingigantì la facciata assumendola come una vera e propria forza di enunciazione, fino a trascrivere sul gocciolatoio della cornice della porta d’ingresso in honorem optimi regis et nobilissimae patriae7Quindi, in epoca medievale ed ancora per gran parte dell’era moderna, la zona Nilo verrà occupata fino a congestionarla all’inverosimile, assegnando di volta in volta all’immobile collocato o da collocarsi il valore supremo di casa agnatizia, emersa principalmente dalla volontà scritta su carta da testamento dal capostipite del lignaggio che l’ha abitata per primo. Fatto per cui, si evince che, la nobiltà dalla zona sembrerebbe anche come fatto documentato, pare non si sia mai allontanata, quanto piuttosto abbia dato largo sostentamento al progetto di Alfonso II d’Aragona di regolarizzare la zona che già allora si presentava come un immenso reticolo viario in più parti da modificare rispetto all’impianto impostato ortogonalmente, e tuttavia, di fatto, anche oggi, mantiene intatto, la geometrica realizzazione dello spazio ispirato assai al modello greco romano di cui ne percepisce un’immediata e concreta sistemazione, la dove ci sarebbe stato poi tra l’altro davvero un bisogno di sistemazione autentica8.


Spazio note

(1) Palazzo Corigliano. Tra archeologia e Storia (Estratto) Istituto Universitario Orientale di Napol, ottobre 1984, DON 1.209.562 BNN sez nap MIsc VII C 3/4 copia estratta da 1167802 D.S. BNN distribuzione 1994 D 87 relazione a cura di Irene Bragantini e Patrizia Castaldi, premessa di Maurizio Taddei cfr: Cesare De Seta, Bari 198, la città nella Storia d’Italia, pagg 69 e segg.
(2) Questa è la zona di Napoli dove si è verificato l’atteso fenomeno studiato di frammentazione del possesso fondiario del territorio e poi seguito da una tendenza alla ricostruzione di blocchi immobiliari, con un sistema di trasmissione dei beni da padre in figlio e da figlio in figlio e così via appartenuto al primo caso e quindi, sostituito verso la prima metà del XV secolo, col sistema feudale di tipo verticale, con preferenza per la primogenitura maschile, intensamente favorito anche dalla legislatura ancora di stampo federiciano. M.A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti e dei contratti matrimoniali dell’aristocrazia feudale napoletana tra fine Quattrocento e Settecento, in MèlRome, Moyen Age Temps modernes, t 95 (1983), 1, pag. 421
(3) Più o meno da codici diplomatici che regolarono nel medioevo europeo, specie per il meridione d’Italia, alleanze e rivalità al tempo stesso Labrot Baroni in città. Residenze e comportamenti dell’aristocrazia napoletana 1530-1734 Napoli 1979, pagina 50.
(4) La zona è ancora visibilmente impressa dal patrimonio immobiliare complessivamente sorto subito dopo i disastrosi eventi tellurici del 1456, a cui fece seguito quello del 1466, e che di fatto recano impaginati sulle facciate le testimonianze di quello stile architettonico tipico della seconda metà del Quattrocento e la prima del Cinquecento ed ancora più su verso la collinetta del Monterone e nella forma urbana di Santa Chiara a Spaccanapoli, laddove oggi sopravvivono a perpetua memoria, gli immobili oggi di proprietà del F.E.C., ed ovvero i complessi monastici di Santa Chiara e San Domenico Maggiore nell’area riservata alle proprietà dei Di Sangro. Tuttavia , la zona Nilo, ancora resta legata alle ricostruzioni aragonesi avvenute a partire dal palazzo Petrucci su quel che restò del nucleo primario fondato dai principi di sangue Angioino, e a quest’ultimi strappato dalla vittoria incassata dal Magnanimo contro l’ultimo re d’Angiò residente a Napoli e a tutte le famiglie nobili che ne appoggiarono la campagna bellica perduta e poi debitamente ripagata con secolari espropri avvenuti principalmente a Rua Catalana. La descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, compiuta in modo pressochhè attendibile, dall’ambasciatore del duca di Ferrara a Napoli in quell’anno di quel secolo, Lionello d’Este, al fratello Borso, poi pubblicata da C. Foucard Fonti di Storia di Napoli nell’archivio di Stato di Modena, in Archivio per le province napoletane, vol. II (1877) pagg 731-734
(5) Storia dei monumenti del Reame delle Due Sicilie, di P. Micheletti, Napoli 1845, t II, p.e., I, pag, 464, n° 671. Per quanto riguarda l’ubicazione del Seggio di Nido, cfr: R. Di Stefano-L, Santoro La cappella di Santa Maria di Pignatelli in Napoli in Napoli nobilissima vol. I, 1962 pagg 187 e segg; ed ancora R. Di Stefano La chiesa di Sant’Angelo al Nilo ed il Seggio di Nido, IBIDEM, vol. IV 1964, pagg 12 e segg.
(6) Minieri Riccio, L’edificio seggio di Nido e le sue diverse proprietà. Pergamena privata datata 26 luglio 1320, fotografata e detenuta dallo stesso Minieri Riccio; la stessa casa fu poi venduta nel 1478 da Francesco Della Ratta ad Antonella D’Aquino ed al consorte, Innico D’Avalos, da un pergamena privata e datata 4 dicembre 1478,. Per tutto quanto l’elenco dei feudatari in platea Nidi, al tempo della regina Giovanna I, si confronti Carlo Tutini, Dell’origine e fundatione de’ Seggi di Napoli, Napoli, 1754, pagina 133
(7) Ceci, Il Palazzo dei Carafa di Maddaloni poi di Colubrano in Napoli Nobilissima, vol. II 1892, pagina 150
(8) Prima dell’avvento dell’era moderna, la zona verrà trasformata in un innesco di importanti ed aristocratiche residenze alle dipendenze della Regia Camera della Sommaria, importanti funzionari dello Stato e dell’Ammiragliato regio presero dimora su preesistenze fondate tempo prima in memoria degli sconfitti d’Angiò del ramo dei Durazzo e del rampo di Taranto.