Affreschi del Preti a San Domenico Napoli

Sono di Mattia Preti le composizioni ad affresco raffiguranti la Gloria di San Domenico di Guzman e che un tempo decoravano la cupola della chiesa di San Domenico in Soriano a piazza Dante di Napoli1, gli unici realizzati dall’autore in tutta la città ed eseguiti nell’anno 1664, anno, così come lo confermerebbero tutti i suoi biografi, in cui, Mattia fece ritorno nella città partenopea da Malta.
Le tracce degli affreschi andati perduti a causa della forte umidità insita nella materia che forma la cupola furono fotografate un’ultima volta e per sempre, da Claudia Refice in suo lavoro monografico sull’artista calabrese, poi pubblicato nel 1954 sul Bollettino d’Arte di quello stesso anno.

Il lavoro della refice fu pubblicato nell’ambito di un progetto più ampio di raccogliere e diffondere l’arte nelle memorie scritte per la Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti.

Per un apprezzabile confronto della mirabile qualità dell’opera di Mattia Preti a Napoli, andata perduta per sempre, restarono, in seguito alla distruzione degli affreschi pretiani nell’abside della chiesa di San Bartolomeo dell’Isola, in Roma, le opere affrescate al San Carlo ai Catinari e al Sant’Andrea della Valle entrambe a Roma.


Seguono sostanzialmente anche i capolavori lasciati alla basilica di San Biagio a Modena.

Poi presso la Cattedrale di Malta ed infine, a Villa Pamphili a Valmontone nel frosinate, quest’ultimi danneggiati oltremodo durante i bombardamenti del 1943.

  • Su tutti quanti, secondo la Refice, le opere napoletane del Preti, dopotutto va anche aggiunta la Madonna di Costantinopoli per la chiesa di Sant’Agostino degli Scalzi a Materdei, si presentano seppur non propriamente grandiosi come gli altri, ma sugli altri prospettano un segno di incisa nobiltà pittorica. Ad esempio, a ben guardare l’Elemosina di San Carlo, al San Carlo ai Catinari di Roma, la Recife, fa notare quanto ci sia di sofferto nella partitura delle opere e quanto il Preti in questo caso non abbia saputo confondere le impostazioni che appartengono piuttosto alla scuola romana del Sacchi ed in particolar modo in riferimento alle opere eseguite da quest’ultimo presso il San Giovanni in Fonte a Roma. In questa impresa è troppo evidente, dichiara la Recife, ” …. l’impaccio degli schemi altrui, i quali, raggelando ogni vivacità della composizione rendono l’opera troppo uno studio accademico”, il risultato finale, cioè, di una ricerca non del tutto assimilata, su cui non riesce però ad emergere come si vorrebbe una propria genialità. A parte il povero ritratto in basso a destra, dove la perfezione del corpo è sapientemente descritta, tutti gli altri personaggi ivi ritratti non fanno altro che comporre un’opera considerata solo ” …. un interessante documento dell’attività romana del Preti”. Esiste attiva tra le pagine di questo documento, l’arditezza di concetto della Recife, quando si tratta di apprezzare i capolavori d’arte nel ciclo degli affreschi lasciati alla cattedrale di Modena, laddove, la storica dell’arte, considera queste opere assai più complesse di quelle di Roma, forse pure più belle, in primo luogo perché esse riassumono in breve le diverse anime del Preti; da quella tizianesca a quella manieristico-michelangiolesca, da quella domenichiana a quella sacchiana, dalla guercinesca alla reniana.

Niente a che vedere con la medesima compiutezza artistica dei lavori d’arte realizzati a Napoli.

A Napoli presso la chiesa di piazza Dante Mattia Preti libera se stesso e la propria fantasia nonostante appaiano comunque assai equilibrate le vecchie maniere.

  • A San Domenico in Soriano di Napoli, Mattia non ebbe molto spazio su cui organizzare ed impostare il proprio lavoro, riuscendo comunque nell’intento di disporne a sufficienza per farci stare ” … figure in giri concentrici organizzate, in riposate e calcolate pause spaziali”. Il gruppo dei personaggi, anzi, i gruppi di personaggi, furono disposti secondo la progressione concentrica delle fasce, ordinatamente una sull’altra, con continuità, senza, il supporto delle onde di nuvole, spesso utilizzate da altri grandi artisti quando avevano bisogno di colmare spazi vuoti lasciati tra una figura l’altra. Qui a Napoli Mattia Preti fascia letteralmente la cupola con ordine e senza lasciare vuoti ed anzi, sfruttando al massimo lo spazio a disposizione, dirige l’ascesa delle figure, con maestria unica a Napoli e nel sud Italia, e seconda solo al Correggio in tutto il Paese. La critica d’arte, ricorda appunto i lavori di Antonio Allegri in una sua opera parmense, assai simile per organizzazione spaziale ai lavori napoletani di Mattia Preti e qui in San Domenico egli addensa i suoi personaggi senza demotivarli del loro carattere e senza la necessità di farli precipitare oppure incombere come spesso accade in caso di eccedenza di spazio. E questa capacità di connettere l’uno all’altra, questo incredibile diagramma di flusso, la Recife, lo accosta alle finezze del Correggio, individuate in particolare per il sorriso degli angioletti, in perfetta coesione con la tenerezza dei lori morbidi corpi; era visibile negli affreschi napoletani del Preti, un angelo suonatore che con tutta probabilità dovette esser stato ripreso da modelli parmensi del Correggio almeno non fosse per quell’abbandono vibrato e sensibile a cui furono abituate le pose della schiera angelica dell’Allegri. Ed ancora, altro elemento che ne inquina l’originalità, fu la fin troppo evidente somiglianza di queste opere con gli affreschi reniani di San Gregorio al Celio in Roma.

Gli affreschi di Napoli sono contributivi di encomiastici ricordi di altri pittori.

Tra l’altro, non farebbero della storia della pittura di Mattia Preti questa l’unica e sola volta a cui il pittore faccia sensibile riferimento agli indicati lavori romani di Guido Reni.

  • Nello spazio della cupola di San Domenico in Soriano, qui, quando gli affreschi erano visibilissimi, si notava un Angelo suonatore affacciato beatamente da un palco drappeggiato, chiarissima, inequivocabile ispirazione reniana. Nell’analisi della Recife, si fa riferimento come è giusto che sia, all’esperienza di Mattia Preti di ripetere maniere e particolare di grandi artisti della sua epoca solo nelle affrescature da lui composte e giammai se ne riscontrerà sui dipinti su tela. In sostanza, Mattia Preti quasi si dichiara ai pittori che in un qualche modo riprende quando lavora a muro, e lo fa senza fondersi con questi particolari, anzi appare ora chiaro anche la ferma intenzione di lasciare invece vistose le tracce dell’imitazione. E lo si vede chiaramente nel linguaggio usato a San Carlo ai Catinari, quando descrive lo ” …. scorcio dei volti, il taglio degli occhi, la maniera di creare in bello un’accademica costruzione dei movimenti”. E non è detto che mentre imitava non avesse un modus operandi tutto suo. E ciò lo dimostrerebbe una tela composta negli anni del suo soggiorno a Roma, realizzando la Flagellazione, per il San Giovanni Calibita a Roma ed un discreto Mosè che separa le acque, oggi al Museo del Prado di Madrid. A rendere ancor di più la differenza delle due esperienze è il confronto teso tra gli affreschi del Sant’Andrea della Valle a Roma, una delle opere più falsamente riuscite del Preti, anche quando questi raggiunse la maturità artistica e la pienezza del mezzo pittorico, con la tela realizzata quasi contemporaneamente già nella collezione del Cecconi, e ritraente L’Incredulità di San Tommaso oppure addirittura con altro lavoro realizzato dal medesimo autore di poco più tardi, ritraente uno stupendo San Bartolomeo; dunque, l’affresco e la pittura su tela, restano per Mattia Preti il segno dell’esperienza d’arte divisa nettamente tra la resa del dramma e l’efficacia del colore. Negli affreschi del Sant’Andrea della Valle a Roma, opera alquanto condizionata da personalità artistica tipica del Domenichino, Mattia Preti non raggiunge la magniloquenza della scena pittorica, che, nel modo in cui è composta, non riesce neppure a sortire uno straccio di dramma, condizione che nelle tele invece è letteralmente opposta. Nelle storie affrescate a San Biagio di Modena, anche lì vi è evidente più che mai la stratificazione di esperienze d’arte non propriamente omogenee, si nota cioè l’affermazione di personalità altrui, in questo caso chiaramente evidente l’impronta romana del Sacchi.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Claudia Refice, Affreschi di Mattia Preti a San Domenico in Soriano a pagina 141 del fascicolo Bollettino d’arte, A. 39, s. 4, n. 2 (apr.-giu. 1954), p. 141-147. Testo alla BNN S. C Arte Periodico 4 Bollettino d’arte / Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale delle antichità e belle arti. – 4. ser., a. 33, fasc. 1 (gen.-mar. 1948)-a. 49,fasc. 4 (ott.-dic. 1964). ; 5. ser., a. 50, fasc. 1/2 (gen./giu. 1965)-a. 61, fasc. 3/4 (lug./dic. 1976). ; 6. ser., a. 64, fasc. 1 (gen./mar. 1979)-a. 93, n. 146 (ott.-dic. 2008). ; 7. ser., a. 94, n. 1 (gen.-mar. 2009- . – Roma : La libreria dello Stato, 1948-. – v. : ill. ; 29 cm. ((Trimestrale; bimestrale (1983-1997). – Denominazione di resp. (1975-): Ministero per i beni culturali e ambientali [poi] Ministero per i beni e le attivita culturali. – L’editore varia. – Dal 2009 editore: Firenze : Olschki. – Non pubblicato dal 1969 al 1971. – Indice storico 1907-1976, Sommari e indici 1979-2002. Codice SBN PAL0042687 ISSN 03919854 03944573 ACNP P 00045115 P 00230340 Autore Italia : Ministero per i beni culturali e ambientali Italia : Direzione generale delle antichità e belle arti Soggettario Firenze Arte – Italia – Storia Arte – Periodici Arte italiana – Periodici Allo stesso volume appartiene anche il foglio 68 quater che riporta il depositato progetto di Andrea Tagliacozzi Canale del 1752 sulla sistemazione del convento dei frati domenicani in piazza Dante Alighieri a Napoli.