Splendori di San Gennaro al Duomo di Napoli

Sono gli Splendori1, i due candelabri di eccezionali dimensioni posizionati a due passi dalla balaustra della tribuna centrale interno della cappella San Gennaro, terza della navata destra del duomo di Napoli.

Furono realizzati col sistema a gettito, cioè partendo dalla base di modelli costruiti prima in stucco, poi in cera, ed infine colati nell’argento.

Sono entrambi datati 1744, portati a compimento dal magnifico ingegnere, Bartolomeo Granucci2, medesimo autore delle decorazioni parietali per la cupola della chiesa di Sant’Agostino degli Scalzi a Santa Teresa, e di Filippo Del Giudice, un argentiere di razza, titolare di una bottega orafa che conduceva assieme ai due figli, Giuseppe e Gennaro.

Sono alti 3 metri e 70 se si tiene conto anche della coeva controbase in legno marmorizzato e si chiamano così tanto per l’abbondanza di luce emessa, quanto per l’effettivo splendore dell’argento che li ha da sempre caratterizzati e per questo motivo, se ne tiene conto di particolare importanza nella ricostruzione del patrimonio dei pezzi in argento della cappella, unitamente al paliotto di Giandomenico Vinaccia.


Le Virtù della Fede, Speranza e Carità siedono nel primo Splendore. 

La base degli Splendori è fatta di tre robusti cartocci sfioccati in altrettante tre volute, sferzate da colpi di mazzuolo ancora visibili nel tormento delle forme che assumono e dalla sagomatura intensamente sentita.

  • I cartocci di base sono gli stessi che Francesco Solimena dipinse per gli affreschi ritraenti la Caduta di Simon Mago, a San Paolo Maggiore ai Tribunali e riproposte per il marmo di basamento della Guglia dell’Immacolata a piazza del Gesù Nuovo. Infine, dentro alle volute alla base degli Splendori, stanno collocati gli stemmi della città di Napoli. Un globo terracqueo segna il limite fisico tra un primo pezzo di tronco sfasato che dalla base si leva fino a sessanta centimetri. E addosso al quale siedono le Virtù della Fede, Speranza e Carità nel primo Splendore, tutte virtù queste assegnate alla potenza di San Gennaro, protettore principale della città di Napoli, e Forza, Mansuetudine e Gloria nell’altro, queste ultime rilevate, senza fonte sicura, come omaggio alla gradita offerta di sua maestà Carlo di Borbone3. Le stesse Virtù, furono in un primo lavoro fatto e giudicate dagli esperti della deputazione troppo piccole in rapporto alla gran mole degli Splendori, pertanto vennero rifatte dallo stesso Granucci. Il secondo fusto reca le sculture di tre putti che sorreggono il bulbo centrale impreziosito dall’acanto delle foglie sorvegliato a vista dalle teste dei cherubini che reggono i piattelli reggicandela.

Giandomenico Vinaccia eseguirà sei palle in argento.  

Sontuosi e splendidi essi rappresentano quindi il gusto delle guglie napoletane, occupando il settore degli apparati effimeri.

  • Ma elaborati per durare nel tempo e restare collocate nello scenario delle arti visive principalmente per il pregno significato scultorio delle figure impresse nell’argento. Sono ad ogni modo pezzi di rara ed eccezionale bellezza artistica4, pur tuttavia, restano ancora il segno tangibile di una mentalità retrograda del tempo, che legava non solo questi oggetti, ma anche parte dell’arredo sacro inciso nei metalli preziosi spesso con taglio d’uso barocco, all’esacerbata convinzione che il susseguirsi di pestilenze, guerre, carestie, calamità naturali, altro non fossero che una punizione divina inflitta alla città per non aver sufficientemente onorato il comandamento della venerazione con un’adeguata apparecchiatura liturgica di cui erano già state abbastanza attrezzate molte delle chiese di Napoli. E non va dimenticata pure l’accezione che vuole questi oggetti segno di un cambiamento di quell’intimo stile di scultura adottato dagli artisti del posto, ben pagati dalla committenza laica, a sua volta, infervorata da una nuova gioia di vivere ad ogni nuovo scampato pericolo in conseguenza a qualche evento catastrofico per la città. Giandomenico Vinaccia eseguirà sei palle in argento per rendere maggiormente imponenti due splendori donati al Tesoro di San Gennaro nel 1660 dal vicerè Duca d’Arcos5, andati perduti per sempre assieme ad un’altra coppia di splendori eseguita dal medesimo autore per il monastero di San Gaudioso a Caponapoli6. Bartolomeo Granucci fu un artista che molta impressione subì del maestro Francesco Solimena, assieme al quale, nel 1723, lavoreranno per la chiesa dei Santi Apostoli, e qualche anno dopo, presso la chiesa di San Nicola alla Carità a Via Toledo.


Spazio note

(1) Storia dell’Arte, 78, Nuova Editrice Firenze, Elio Catello, Gli splendori del Tesoro di S.Gennaro a Napoli. Alcune altre notizie sono state estratte anche da: Napoli Sacra 1° itinerario pagg 18-19/ [testi di] Leonardo Di Mauro … [et al.]. – Napoli : Elio De Rosa, ©1993. – P. 65-128 : ill. ; 33 cm. Codice SBN NAP0159853 Fa parte di Napoli sacra : guida alle chiese della città. E da: F O N D A Z I O N E M E M O F O N T E / Studio Per l’Elaborazione Informatica delle Fonti Storico-Artistiche GIUSEPPE SIGISMONDO Descrizione della città di Napoli e suoi borghi del dottor Giuseppe Sigismondo napoletano Tomo I [Napoli], presso i Fratelli Terres, 1788 (a cura di Stefano De Mieri e Maria Toscano) Napoli – Firenze 2011 Edizione digitale disponibile all’indirizzo http://www.memofonte.it Data di immissione on-line: 1° semestre 2012 Questo lavoro è promosso dal Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Maria Toscano ha curato la prima parte (pp. I-VIII, 1-143), Stefano De Mieri la seconda (pp. 143-287). Fondazione Memofonte Lungarno Guicciardini, 9r 50125 Firenze (IT)
(2) ASN, Notai del Settecento, Libro Capone Scheda 340, protocollo 4, foglio numero 4.
(3) Il globo terracqueo è tutto inciso di regioni geografiche ed è attraversato da una fascia orizzontale che gli corre intorno, offrendo la visione di dodici diverse zone dell’Universo Mondo, rappresentate dai rispettivi dodici segni dello zodiacoSulla fascia dello zodiaco ancora visibile la punzonatura FDG, Francesco Del Giudice, mentre sull’abaco trilobato, troviamo il segno del console verificatore, all’epoca, Diodato Avitabile.
(4) Dai documenti dell’Archivio Storico si evince che Aniello Treglia, ne eseguì una coppia per il Collegio del Gesù Vecchio ASBN, (Archivio Storico del Banco di Napoli) Banco del Salvatore, Giornale m 78, 5 marzo del 1659; Banco della Pietà, Giornale m 484, 17 giugno 1659.
(5) ASBN, (Archivio Storico del Banco di Napoli) Banco del Salvatore, Giornale m 84, 24 maggio 1660
(6) ASBN, (Archivio Storico del Banco di Napoli) Banco del Salvatore, Giornale n. 238, 29 gennaio 1680