Stazione Cumana di Piazzale Tecchio Napoli

È la stazione della Cumana di Piazzale Tecchio a Fuorigrotta, Napoli1, inaugurata nel 1940 in concomitanza con l’apertura della Mostra d’Oltremare, rispetto alla quale, almeno nelle intenzioni dell’architetto che ne ha disegnato le forme avrebbe dovuto anticipare l’ingresso stesso alla Mostra.

Con l’unica eccezione però, che oggi l’edificio si svincola dall’obiettivo predefinito, mostrandosi unico corpo di fabbrica con motivo del cerchio su varia scala.

Un gioco perfetto di rimandi visivi ad incastro, pongono l’accento sulla centralità dello spazio assorbito dall’oggetto in forza della sua specifica funzione adottata subito fin dalla sua fondazione realizzata con classica copertura ad ombrello, diversa dalla pianta semi ottagonale della stazione di via Leopardi, progettata dal medesimo autore, Frediano Frediani.

L’edificio si compone di due piani, quello superficiale con ingresso alla stazione e quello sommerso con ingresso ai treni.


Un gioco di agganci e sganci cilindrici fondano l'opera della stazione della Cumana.

La planimetria superficiale dell’immobile si presenta unica in se stessa, ottenuta per l’innalzamento di un cerchio concentrico occupato dall’atrio dell’ingresso.

  • Le scale per l’accesso alle banchine sotterranee ed i locali pensati per la biglietteria, mentre un secondo cerchio concentrico di dimensioni maggiori lo incapsula, ospitando nello spazio in esubero i locali per le sale d’attesa ed altri servizi, rivolgendo il suo lato occidentale alla Mostra con portico semicircolare definito da una buttata di colonne rifinite inizialmente nell’intonaco. Il cerchio concentrico più interno, che tra l’atro si sorregge solo grazie all’appoggio di un unico, grosso pilastro, fu pensato per esuberare in altezza rispetto a quello più esterno e grazie ad un preventivo giro di strette aperture rettangolari, riesce nel proposito di catturare luce solare diffonderla all’interno del salone già in parte abbastanza illuminato da nervature in vetro-cemento ritagliate nella sostanza delle mura perimetrali del cerchio concentrico piccolo. L’aggancio del cilindro grande all’emiciclo più piccolo è garantito da una soletta snodata continua lungo tutto il perimetro, grazie al quale, il cilindro piccolo ammorsa in più punti quello più grande. Tra l’altro va aggiunto che il piccolo edificio rispetta la tematica ambientale dei Campi Flegrei, assecondando di fatto la vocazione greco-romana dell’arredamento urbano moderno di tutto il quartiere di Fuoriogrotta impiantato durante il ventennio fascista, profondamente legato all’idea del tempio rotondo di Serapide a Pozzuoli, e nella perfezione del cerchio, il suo progettista ha semplicemente esaudito il desiderio del Regime di instaurare a Napoli il via al classicismo modernoi, n primo luogo proprio per l’impiego massivo dei nuovi materiali di costruzioni di cui la stessa stazione è composta: il travertino per il pavimento all’in terno, la pietra di Trani per le scale, il bardiglio verde delle imposte delle porte e la pasta di vetro per il rivestimento di pelle dei pilastri. Nel 1987 si pensò di dotare la stazione di una torre tecnologica per l’uso esclusivo di servizi ai non deambulanti; l’idea di un corpo di fabbrica da aggiungere fu abbandonata per la scarsità dei fondi messi a disposizione, tuttavia, furono recuperate le parti materiche soggette all’usura del tempo; fu ripresa e arricchita l’ocra delle facciate ed il basamento in porfido, impreziosito da rifiniture in ottone satinato ed acciaio spazzolato.


Spazio note

(1) Pasquale Belfiore e Benedetto Gravagnuolo Stazione della Cumana a piazzale Tecchio. 1939-1940 scheda 83 a pagina 207-208 di Napoli. Architettura e urbanistica del Novecento premmessa di Mario De Cunzo, prefazione di Renato De Fusco Editori La Terza maggio 1994 BNN S C ARTE B 495/ter; cfr G. Frediani Le Stazioni di Fuorigrotta e Mostra d’Oltremare della Ferrovia Cumana: due edifici dell’archietetto Frediano Frediani saggio ciclostilato, Napoli 1987; F. Capobianco, S. D’Ascia Due Stazioni della ferrovia Cumana di Frediano Frediani, “ARQ”, numero 3, giugno 1990, pagg 116-117