Cippo alle Catacombe di San Gennaro Napoli

 Trattasi di una stele di piccolissime dimensioni1, installata nella cosiddetta sala quadrata raggiungibile dal corridoio siglato B58 alla catacomba inferiore di San Gennaro sotto la chiesa ed ospedale omonimo al Rione Sanità di Napoli.

E' il più enigmatico dei monumenti del complesso catacombale di San Gennaro dove si trova collocata e posto al centro delle attenzioni degli studiosi di cose antiche poi espunto dal Corpus epigrafico giudaico e considerato di fatto opera tutt'altro che antica.


Si presenta come una dimitiria2; di forma cilindrica, rastremata alla sommità ed innervata in un basamento di marmo bianco, smussata e levigata, alta 88 cm; sulle superfici lisce e rotonde diametralmente nette ed incise si osservano iscrizioni simil giudaiche l'una opposta all'altra per le diverse dimensioni e per la presenza in un fianco della colonnetta del teonimo a carattere greco richiamante il nome di Priapo.


Il cippo ebraico e gli studi condotti da Giancarlo Lacerenza: le ipotesi del Bocchini e del Sanchez.

Domenico Bocchini, in verità il primo di tutti a ricordare il cippo nelle sue opere, attesterebbe l'esistenza sul posto di una società arcaica gestita dalle sirene matriarche.

  • Pur ammettendo di non averla mai vista da vicino e di non esser dotto della lingua ebraica ne ha fatta moderazione il sacerdote regio bibliotecario Sanchez nel 1833 pubblicando sui due volumi Campania sotterranea la possibilità che possa trattarsi di elemento di distinzione di misteri erotici, di tipo gnostico. Altra ipotesi dello stesso Sanchez, è che, il cippo indicherebbe nella sala della catacomba inferiore la sepoltura di un personaggio illustre costretto all'anonimato o addirittura il cippo sarebbe lì stato piantato solo per depistare i curiosi da un culto sottoposto a persecuzione o, ancora, che si possa esser trattato di un comune segno convenzionale per indicare il posto come la sede di una confraternita segreta. 

Il cippo ebraico ed il mito dei Cimmeri.

Alessio Aurelio Pelliccia, dotto del XVIII secolo, distaccato dalla visione antiquaria della stele, la considera invece come l'opera dei mitici Cimmeri, classe sacerdotale mista dedita alla divinazione, abitualmente residenti in ampi spechi.

  • Senza verifica di vero o di falso, le tesi del Pelliccia offriranno la convinzione specifica a quel gruppo di napoletani eruditi di cose misteriose che sussisterebbe una precisa identità tra la scomparsa civiltà dei Cimmeri, la crypta di Priapo evocata da Petronio e la sala quadrata delle catacombe di San Gennaro a Napoli. Christian F. Bellermann, uno dei massimi conoscitori della catacomba, giunse a conclusione filologicamente più corretta e maturata da una prima vocalizzazione arbitraria del testo ebraico inciso sul cippo, considerando il reperto quasi sicuramente antichissimo quanto e nella misura in cui lo è tutto l'impianto ove essa si trova, tuttavia però tenne a considerare l'iscrizione sul cippo un'impostura scelta ed adattata in epoca medievale se non addirittura in epoca moderna con l'ebraico come lingua optata solo per conferire alla colonnetta ulteriore mistero, e comunque incisa sulla stele quando il mito dei Cimmeri a Napoli era già profondamente radicato nella letteratura. Il riesame approfondito dell'iscrizione sul cippo condotto da Hans Achelis presente sul posto negli anni 30 del '900 per delle indagini di tutt'altra specie, lo costrinse in un qualche modo a rivedere le proprie posizioni acquistando un comune punto di partenza assieme ad Albrecht Alt.

Il testo inciso in ebraico sulla stele e le ipotesi del Morelli.

Stante impossibile stabilire chi dei due abbia effettivamente suggerito l'altro l'ipotesi rimasta incontrastata per circa quarant'anni, nel 1976 a quest'ipotesi per altro simile alle precedenti è andata ad aggiungersi l'analisi di Giuseppe Morelli, docente di ebraico alla Pontificia Università “San Tommaso” a Napoli.

  • Costui andato avanti forte dell'esperienza di Zwi Werblowski, docente alla Hebrew University di Gerusalemme, al quale chiese vaglio critico sul testo in esame e che per conto suo riteneva apprezzabili le ipotesi di Bellermann. Morelli, che non avrà alcun dubbio sul significato osceno della stele, non considerandolo di fatto antico, non credendo neppure allo scherzo imposto tra ricchi signorotti di quartiere che se la intendevano di cose antiche, unitamente a Werblowski inizia ad escludere i Cristiani dei primi secoli dalla responsabilità dell'iscrizione sul cippo, e siccome è impensabile che gli Ebrei avessero potuto godere del piacere offerto dalla ritualistica, escluse anche i Giudei. Resta alla fine assai difficile stabilire con presunta certezza il tempo e l'ambiente in cui s'è formato il testo sulla colonnetta; pure è assai difficile accertare quasi sicuramente chi lo abbia commesso e perché e quale interesse abbia potuto aver nel commissionare una tal opera a parte la tesi della burla perpetrata in danno dei collezionisti dell'epoca del Pelliccia, verso il quale è verosimile pensare fosse stato organizzata la truffa. Poiché va detto, è di quegli anni la moda diffusa di realizzare collezioni di materiale antico riferibile ai culti misterici campani magari anche appresso appresso alle teorie sui riti erotico-gnostici, sulle quali si sarebbe prodotta un'intensa letteratura sulla scorta delle collezioni dei falsi raccolti dal duca Blacas d'Aulps.

Il cippo e le conclusioni errate del Pelliccia circa il culto napoletano a Priapo.

Attenzione va data anche all'assennata ricerca del culto a Priapo nel Regno di Napoli di Knight, incoraggiata dall'ambasciatore inglese sir William Hamilton con residenza al Palazzo Sessa di Napoli nella conca a di Santa Maria a Cappella Vecchia di Chiaia

  • Pure Nicola Ferorelli abbracciò la tesi del Garrucci relegando il cippo ad una mistificazione bella e buona a danno delle storicità e Galante del 1913, pure lui senza fermarsi al contenuto delle iscrizioni che secondo alcuni rivelerebbero atroci oscenità, finalmente comincia a diffondere le tesi attuali e cioè che da sconosciuti la colonnetta sia stata portata lì dove oggi si trova allorquando la catacomba non era più sacro luogo di venerazione ed abbandonata dalla diocesi ignoti col gusto per il fenicio scelsero la sala quadrata per farci luogo delle proprie conventicole. Poiché è col fenicio che si tenterà e per certi periodi pure ci si riuscirà ad avviare la moda di spiegare gli antroponimi ed i toponimi del mondo antico come quello anche del mondo nuovo e certe categorie di realtà che non troverebbero altra collocazione nell'immaginifico, vedasi ad esempio le monumentali opere di Giacomo Martorelli del 1756, le indicazioni dell'erudito Alessio Simmaco Mazzocchi, gli epigoni del grande Michele Vargas-Machuca. Non riuscendosi tuttavia a spiegare la congerie di errori e le fantasticherie che son state assolte attorno al cippo e alle sue misteriosissime iscrizioni, le interpretazioni posteriori inducono a credere che possa non essersi trattata di un'iscrizione ebraica, ma di un linguaggio appartenuto a comunità troppo remote per potersi definire anche solo greche e per la peculiarità con cui è mostrato il testo iscritto al cippo, potrebbe significativamente trattarsi di un linguaggio molto in voga nel Settecento tra i ricchi cultori collezionisti di opere antiche poco creduli alle prediche del Pelliccia; i quali, si son, diciamo, presi gioco degli errori che costui ha evidentemente commesso nell'interpretare i segni di una civiltà devota a Priapo nelle terre napoletane e sulla base delle sue stesse fantasticherie hanno architettato la finta prova del culto partenopeo a Priapo.


Spazio note

(1)Estratto dai documenti del professor Giancarlo Lacerenza.
(2) (Domenico Bocchini nell' Urbe delle Sirene descrive il cippo come colonnetta Sacra al dio Cerere da nessun scrittore ricordata solo perché nessuno né per poco né per molto ha saputo interpretare il suo arcano.) Una prima descrizione della stele medesima è pervenuta alla letteratura antiquaria europea dai testi e dalle relazioni dell'eclettico orientalista Joseph von Hammer-Purgstall, reduce nel 1816 del successo del Mysterium Baphometis Revelatum, attraverso il quale ebbe occasione, l'austriaco di dimostrare la stele come reperto di una complessa simbologia gnostico-erotica, su suggerimento del generale Franz von Koller, collezionista gran promotore degli scavi nell'Italia meridionale tra la fine di giungo e gli inizi di luglio del 1825, epoca in cui egli fu intendente generale dell'Armata austriaca di stanza a Napoli. Archivio storico di Stato , fondo Ministero dell'InternoII inventario, nr 2020: 67 e 2030: 312