Palazzo Firrao Napoli

E' il Palazzo dei Firrao1, piena facciata aperta su Via Santa Maria di Costantinopoli, a Napoli.

Data di edificazione approssimativa del Cinquecento per i tempi stabiliti circa gli affreschi del secondo piano eseguiti dal Polidoro da Caravaggio, secondo fonti autorevoli su progetto di Cosimo Fanzago2, allorchè l'architetto presumibilmente ebbe già dato avvio alla decorazione secondo schemi cinquecenteschi alla facciata del Palazzo Diomede dei Duchi di Maddaloni dinastia dei Carafa a Via Toledo.

Mentre, secondo altri è opera di un gruppo di professionisti al seguito delle direttive progettuali del carrarese Jacopo Lazzari poi succeduto dal figlio Dionisio, negli anni in cui ebbe modo di organizzare le sue funzioni di maestro marmoraro per le chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella e lo stupendo altare maggiore alla chiesa del Monacone al Rione Sanità presso il non lontano Borgo dei Vergini.

Il Palazzo è il miglior esempio di residenza nobiliare dell'età barocca a Napoli, durante la quale ha subito un'autentica ricostruzione in coincidenza dell'allargamento del condotto viario ove esso è prospiciente.


Il collocazione spaziale del palazzo.

Posto all'inizio di Via Costantinopoli, anticipa e posticipa di pochi metri il primo arco di Port'Alba.  

  • All'apice della Via di San Sebastiano e le chiese chiuse di San Giovanni Battista delle Monache attigua a sua volta all'Accademia delle Belle Arti e di Santa Maria della Sapienza. L'immobile è inquadrato nel circondario archeologico napoletano delleiazza Mura Greche con interesse esteso al largo scavato ad esso più vicino di Piazza Vincenzo Bellini3. Da sempre di proprietà dei Principi di Sant'Agata e Luzzi servitori della Corona4, poi estinti per mancanza di figli eredi maschi5, con Livia, andata in sposa a Tommaso di Sanseverino, principe di Bisignano, che chiude l'antichissima dinastia dei figli del guerriero Normanno, Rao, giunto sulle coste partenopee a seguito di Roberto Guiscardo. Le uniche parti originarie del Palazzo dei Firrao è data dalla facciata e parte dell'atrio; ma il dato più significativo della residenza è il giardino retrostante, tipico delle costruzioni o ricostruzioni di edilizia non religiosa riferita invece all'epoca del cosiddetto Risanamento del periodo viceregnale di Don Pedro de Toledo ed essenzialmente tipico di tutte le costruzioni che gravitano attorno a piazza Dante Alighieri, sulle vestigia del Foro Carolino, un tempo detto anche Largo del Mercatello. Costruito secondo lo schema consueto del piano terra destinato alla scuderia ed ai magazzini per lo stipo delle merci ed i piani soprastanti le vere e proprie residenze, mentre l'ultimo piano riservato al servizio del personale e del corpo di guardia; fatta esclusione quindi del piano seminterrato, il Palazzo si compone di quattro livelli, con pianterreno e primo piano inclusi in una serie di sei paraste ioniche bugnate di ordine gigante che fiancheggiano tre a tre il sontuoso portale d'entrata e che si inseriscono con forza negli intervalli geometrici originari. Le quattro finestre del pianterreno son sormontate da un timpano spezzato contenente la giara ornamentale e fiancheggiate alle due estremità dell'edificio da due nicchie della stessa forma e da altre finestre che contengono per ornamento statue ritraenti soggetti femminili, tutte copie secentesche degli originali presumibilmente databili II secolo d. C.

Il primo piano del Palazzo

Al primo piano invece le finestre assumono un disegno più semplice riproponendo le sole cornici cinquecentesche delle finestre del pian terreno. 

  • Assieme alle fasce marcapiane delle finestre al pianterreno le stesse mensole al di sotto delle scenografie scultoree date dalle armi del casato Firrao sono interamente realizzate con maestria e pezzi di varia dimensione del marmo bianco di Carrara. Questo poi è l'elemento decorativo plastico che lo distingue non poco e nettamente dalle facciate massificate in piperno grigio vesuviano degli altri edifici che contestualizzano il territorio perturbano. Il portale, il cui asse di simmetria coincide con quello dell'intero edificio, domina per intero tutta quanta la facciata. L'altezza del primo registro si raccorda non senza un mirabile disegno alle paraste giganti mediante un grosso timpano spezzato su cui poggiano due statue, figure allegoriche a sinistra della Magnanimità e a destra della Liberalità, le quali stringono al cuneo della facciata, all'apice dell'arco spaziosamente a tutto sesto, il Corno dell'Abbondanza elemento aggiunto presumibilmente postumo al Settecento. 

Il secondo piano del Palazzo. 

  • Al secondo piano o anche detto piano nobile due balconi fanno da contrappunto al portale; questo poi, appartenente all'impianto cinquecentesco è da sempre destinato ad ospitare la Galleria del Principe. Tra le finestre rettangolari vennero poi aggiunte delle fitte panoplie sulle quali vengono a trovarsi otto lesene in tutto con alla base un allargamento verso i capitelli risultato di un ordine composito con l'assortimento di armi dato in bella mostra a distinzione delle ardite imprese militari di famiglia, mentre alla sommità dei timpani spezzati si ricollegano formalmente alle finestre del pian terreno ad inclusione di sette clipei ornati da una complessa cornice mistilinea, ove vi hanno poi trovato alloggio il busto di sette re spagnoli.


Spazio note

(1) [Liberamente estratto da: “Palazzo Firrao” Misura e forma di un monumento napoletano, Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Architettura Dottorato di Ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell'Architettura e dell'Ambiente XIV ciclo. Campi, D'Acunti, Mediati, Messina, Uccella.
(2)   [ *Napoli barocca e Cosimo Fanzago / [a cura di] Gaetana Cantone. - Napoli : Edizione Banco di Napoli, [1984]
(3)  [AA.VV., Sulla via Costantinopoli, Ed. Università degli Studi di Napoli, Napoli 1987, pagg 7-13].
(4) [Il *barocco a Napoli e in Campania / Riccardo Lattuada. - Napoli : Società editrice napoletana, stampa 1988. - ]
(5) [ I*palazzi di Napoli / Gino Doria ; a cura di Giancarlo Alisio ; con un saggio di Gèrard Labrot. - Napoli : Guida, 1986 (Ercolano : La Buona stampa)]