Chiesa San Severo fuori le Mura Napoli

La chiesa di San Severo fuori le Mura a Napoli1 (1bis) si presenta come fondo conclusivo dell’omonima piazzetta, all’imbocco di Via dei Cinesi.

Assieme al convento e alle catacombe ch’essa custodisce al di sotto del pavimento dell’unica navata, è parte compositiva del comparto urbano di San Severo extra moenia al Rione Sanità.
È stata ricostruita nel 1680, per mano di Dionisio Lazzari, architetto già impegnato nei cantieri dell’Egiziaca a Forcella, alla Cappella dell’Assunta ai Girolamini di via Duomo, nonché per il palazzo Firrao a Via di Costantinopoli.

La ricostruzione di quegli anni di quel secolo, ebbe il solo proposito di competere con la vicinissima chiesa del Monacone, divenuta, all’indomani della storica riforma domenicana del 1640, il polo monumentale più importante di tutto il Borgo dei Vergini.

E fu a partire da quella data che la chiesa acquisì ulteriore spazio cavato dalla massa tufacea della parete onde ricavarci il coro attuale posto alle spalle dell’altare maggiore.
Lo stuccatore Luise Lago la terminò nel 1692 e nel 1700, ad opera di Biase Tizza, e con in fondi del Conventuali di San Lorenzo Maggiore, ai Tribunali, da sempre ospiti di questa chiesa, sostituirono il vecchio altare con quello attuale in perfetta proporzione con lo spazio dell’abside.

Piuttosto, San Severo si attesta famosa per esser stata la sede della prima sepoltura del capo spirituale dei Cristiani napoletani, Severo, il vescovo di Napoli tra il 364 ed il 414 d. C., poi traslato a San Giorgio Maggiore ai Mannesi, contro le ipotesi degli agiografi, che, invece, lo vorrebbero sepolto a Sant’Eframo Vecchio.

I presunti discendenti di San Severo, i signori eredi della Famiglia dei Carmignano, proprietari della valle dei Vergini, in cambio dell’attribuzione delle cappelle, contribuirono con consistenti lasciti a rifondare la chiesa già dal Cinquecento, fino alla data del 16532, anno in cui, al complesso, fu annesso, fino a farlo sparire, l’antico oratorio di Sant’Antonio da Padova presente nella veduta di Alessandro Baratta del 16293.

La facciata è scandita da un doppio ordine di lesene corinzie e sottolineata dalla doppia cromatura rosso mattone al basamento e membrature di color giallo tufo al secondo ordine che raggiungono un timpano curvilineo al primo livello, mentre due cornici ad arco stanno ai alti del portale d’ingresso.

Al secondo livello un finestrone rettangolare conclude il fuoco spiccato dall’alta cupola impostata con tamburo su quattro pennacchi sferici, ed infine una lanterna cilindrica sta all’apice, ed è articolata in corrispondenza di strette finestre ad arco intervallate da lesene, che, a loro volta, si adagiano sulla calotta della stessa cupola.

Ed è proprio la cupola di questa chiesa che determina la dilatazione verticale soprattutto luminosa dell’area presbiterale all’incrocio col transetto, al suo interno, in una considerazione degli spazi storica e suggestiva, resa ampiamente famosa per le cappelle laterali basse e cieche che accompagnano il corso della navata sotto profonde arcate e la grande volta a botte lunettata.
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Storia della chiesa di San Severo extramoenia.


Gennaro Aspreno Galante, nella sua "Guida Sacra alla città di Napoli", scriverà della perduta importanza di questo luogo sacro all’indomani della traslazione delle spoglie del vescovo Severo e da allora le catacombe vennero usate come cimitero pubblico, localizzato tra i comparti cimiteriali delle vicine catacombe sotto San Vincenzo Ferreri, e sotto San Gennaro dei Poveri.

La piccola chiesa annessa alla catacomba locale, all’epoca del racconto dedicata al Salvatore e solo e soltanto più tardi dedicata a San Severo, il Grande Capo Spirituale della comunità cristiana in lotta contro il danno e l’errore dell’eresia, fu travolta dalla corrente torrentizia venuta giù dalla collina dei Cinesi.

Si presentava più corta rispetto all’attuale, con cinque cappelle per lato, e la facciata all’incirca nella medesima posizione. Al crollo delle materie di montagna, seguì che la volta della chiesa rimase sfondata ed in parte franò fino a sparire sotto la terra continuata a cadere dal monte, avvenendo la cancellazione dell’immobile dalle prime carte topografiche del Cinquecento. Mario Carafa, arcivescovo di Napoli nel 1573 la recuperò all’uso di chiesa aperta all’ufficio di culto, affidandola, ancora tutta incavata nella sostanza del tufo, navata unica e senza transetto, alla cura dei Convenutali di San Lorenzo Maggiore. Le modifiche apportate alla piccola chiesa dovettero limitarsi solo alla zona absidale che di fatto, dagli scavi del 1954, si confermò, che l’abside di San Severo raggiungeva la sua profondità almeno fino all’altezza dell’attuale altare maggiore.

È vero infatti, che alle spalle dell’altare lo spazio è occupato per 26 palmi napoletani, fatti corrispondere dagli architetti che indagano sulle reali dimensione dell’impianto, giusto giusto al passaggio del muro maestro della chiesa prima della rifondazione cinquecentesca.

Dai documenti d’archivio, si evince che precedente alla data della ricostruzione del 1680, il sistema delle cappelle rispettava il seguente ordine di dedicazione: la prima a sinistra dedicata alla Concezione, fu lasciata in concessione ad Isabella Bozzuto in cambio di un giardino accosto alla chiesa; la seconda cappella, sacra prima a San Bartolomeo, poi ai Santi Geronimo e Giacomo fu data a Tommaso Altobello nel 1580, poi passata alla famiglia Cesone; la terza, dedicata al Corcifisso, fu venduta ad Ippolita Pagano, ed ora è intitolata all’Immacolata.

La quarta, sacra a Santa Maria dell’Avvocata, appartenne prima a Rinaldo D’Avenia e poi a tale Pietro Franco; ed infine, la quinta ed ultima di sinistra, dedicata a Santa Maria di Costantinopoli, fu ceduta nel 1581 a Gerolamo Salerno. Delle cappelle a destra, sono tutt’oggi state identificate solo la seconda, sacra a Santa Maria degli Angeli, data in concessione alla famiglia dei Maresca e solo successivamente passò alla famiglia dei Migliore e la quarta dedicata a San Giuseppe, sposo di Maria, fu concessa nel 1616 a Silvia Braida, ed infine, resta ignota l’allocazione per la cappella dedicata a Sant’Agata.
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Spazio note

(1) Dipartimento di configurazione ed attuazione dell'architettura dell'Universtià degli Studi di Napoli "Federico II". Osservatorio permanenete per il monitoraggio dei complessi conventuali campani. Riabitare i conventi. Il complesso conventuale di San Severo alla Sanità in Napoli. Parametri per la valutazione della vulnerabilità indotta dall'impatto abitativo nei complessi conventuali napoletani. a cura di Claudio Grimellini, la stratificazione storico-strutturale del complesso architettonico è a cura di Ilia Delizia e Maddalena Vigo. Napoli CLEAN 2000 BNN SEZ NAP B 1647
(1bis) L’incanto dell’interno di questa chiesa, richiamante il sacro mistero della meditazione e della preghiera silente, sta nei cubicula al di sopra dell’ingresso ed in prosecuzione lungo il lato orientale della navata; nei cubicula, vi accedevano le claustrali del convento e dal convento solamente, poiché, proprio i cubicula erano letteralmente serrati dalle famose grate lignee Senza fonte.
(2) A.S.N., Monasteri Soppressi, vol. 1653
(3) Se ne parlò una prima volta nei Capitoli, patti et conuentioni habiti, inhiti et firmati, tra il R. Guardiano, Padri et Frati del Venerabile Monisterio di Santo Severo del Borgo delli Vergini. A.S.N., Giustizia notai. Nr A. Cesena, fasc. 97/1, ff 879r-880v; Rassello 1985