Chiostro San Gregorio Armeno Napoli

Il chiostro del monastero di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli1 è un ambiente interdetto per ragioni di clausura perchè ancora abitato dalle suore che tuttavia in particolari occasioni del tempo ne consentono l'accesso.

È di dimensioni ragguardevoli, frutto di continui allargamenti da nord verso sud del suo monastero, a testimonianza proprio del carattere degli Ordini religiosi di fare isola e intentare la sfida al sospirato recinto conventuale dalle magnifiche componenti.

Lo si raggiunge per comodità del suo ingresso principale al monastero, caratterizzato dall'ampio rampante aperto sul finir della strada di via Maffei, giusto di fronte alla torre campanaria di San Lorenzo Maggiore.

Quindi il dislivello di quota tra l'ampio chiostro e via San Gregorio è superato grazie alla gradonata, c'è scritto sui documenti antichi rintracciati e catalogati da Gennaro Borrelli, composta di trentatrè comode alzate in piperno, ognuna di queste, ne 1720, risistemate da Piero Ghetti con l'installazione per ogni suo grado di una lastra in marmo per spezzare col bianco il grigio della pietra vesuviana e indi richiamare la bicromia del portale sul fondo della rampa1bis.

In esso continuano a manifestarsi elementi documentali superstiti della fase basiliana di San Gregorio Armeno. La sua costruzione risale al 1654, completato quasi simultaneamente al chiostro della chiesa di San Festo in cima alle rampe di San Marcellino assieme al quale vede come suo unico ideatore e costruttore, Vincenzo Della Monica.

Fu realizzato moltissimi anni dopo la costruzione del suo monastero (1638) che, per cronologia tradizionale, i suoi lavori ebbero inizio nel 1572 e completati nel 1578. Quindi il chiostro risulta per tanto già definito come tale solo nel 1638 in ragione dell'annessione all'antico tracciato ippodameo di Neapolis dei due cardini principali: il vico Maiorani ad oriente e via Campana sul lato opposto.


Rappresenta la terza sede benedettina dell'antichità napoletana.

Ed è sopraggiunto quasi del tutto intatto alle sopraintendenze del circondario UNESCO di Napoli nel 1985.

  • Secondo Gaetana Cantone, almeno per quanto riguarda l'idea progettuale di base e la fase del primo avvio dell'opera, il chiostro di San Gregorio Armeno deve ritenersi per valida attribuzione assieme a quello di San Marcellino realizzato dallo stesso autore: Vincenzo della Monica2 coinvolto, anche se la ricercatrice non ne fa accenno, anche nella sistemazione degli spazi monastici propri del monastero di Santa Maria di Donnaromita a Mezzocannone. Il fatto che il chiostro non verrà realizzato contestualmente alla fase d'opera del suo monastero è da giustificarsi nella presenza, per così dire, ingombrante di una stradina, un cardine, detta, via Campana, che per l'appunto oggi non esiste più in quanto, inglobata nello stesso chiostro, che solo in seguito a questa inclusione potè dirsi completato. Allorquando cioè il chiostro si trovò coi bracci settentrionale e meridionale praticamente prolungati fino all'angolo nord-ovest, laddove ancora oggi se ne conservano le tracce delle antiche campate. È verosimile credere infatti, che alla data dell'anno solare 1574, anno in cui veniva avviata la costruzione della chiesa di San Gregorio, il suo chiostro ancora presentava solo tre bracci, quello settentrionale, il braccio meridionale, ed il braccio orientale. L'allungarsi del portico orientale del chiostro di San Gregorio Armeno sembrava inizialmente limitarsi alla sola pavimentazione dell'astrico, e alla direzione di lavori di ammodernamento del refettorio, e siamo già nel 1644, e all'impresa prende parte Francesco Antonio Picchiatti3 , e dunque finirono di avanzare il muro anche oltre via Campana, assorbendola all'interno della cittadella, poi ancora oltre il vico dei Di Sangro, anche questo finito inglobato con tutte le case che su di esso furono inglobate ed infine poi fatte sparire in luogo di rendere più grande lo spazio del chiostro da dedicare alle suore abitanti del monastero, perchè, c'è scritto sul documento: ” le misure antiche paiono troppo corte alla modernità che si dilata con maggiore splendore e coraggio”4.

L'esedra del chiostro e la fontana della Samaritana.

Al centro del parterre vi fu installata nel 1733 la grande vasca d'acqua, negli antichi documenti detta: la fonte5 , voluta dalla madre badessa, Violante Pignatelli.

  • Si tratta di una tra le più belle composizioni per l'ornamentazione claustrale attinta al repertorio delle acquasantiere napoletane, scrupolosamente descritta dal Sigismondo la prima volta appena dieci anni dopo la sua installazione sul posto. Alle origini essa doveva esser circondata da piante officinali e da piante da frutto e fiori, comunque basse e racchiudenti, a completamento di un'esedra che prevedeva anche due nicchie, nelle quali, sistemarci due statue in terracotta, secellate dallo scultore D'Aula, sempre nel 1733. La vasca richiama all'idea il pozzo d'acqua raccontato nel Vangelo, al quale venne ad attinger la Samaritana e da lì l'incontro col maestro, ”Gesù”, anche qui, in quest'opera presente comunque grazie ad una statua più grande del vero, realizzata come quella della Samaritana da Matteo Bottigliero, citato in un antico documento come il ” … miglior professore che corre nei tempi presenti”6. Gli scherzi d'acqua, così come si chiamano i getti d'acqua, vengono fuori dai delfini, gli unici che effettivamente culminano l'oggetto dell'argomento; altra acqua zampilla dall'anello che circonda la palla che sostiene le statue dei delfini, ed ancora altra acqua dai cavalli marini e altra dalle vaschette a forma di conchiglia. Queste ultime sono invece state preferite alla scenografia come unici elementi che per analogia formale ne rendono l'opera il meno profana possibile. La fontana è calata in un ambiente nativo della clausura monastica, in un'ideale quadratura non alberata, ma recintata da siepi, di qui l'esigenza, non ancora documentata dalla ricerca di realizzare la statua di Gesù di enormi proporzioni rispetto al resto della macchina, di modo che le consorelle potessero rintracciarla da qualsiasi punto di vista del chiostro ed immedesimarsi nella Samaritana. La composizione si trova al centro del chiostro che all'epoca della madre badessa, Pignatelli come si è anticipato sopra, prevedeva che completasse il disegno di un'esedra di verde che fingesse una rupe alle spalle della stessa fontana e dalla quale sgorgasse ancora acqua, rupe sulla qual paretina, venne poi dipinta l'immagine di San Benedetto da Norcia, alludendo quindi ad un suo miracolo. Roberto Pane nella descrizione dei luoghi del monastero ci tiene ad elencare nomi e cognomi dei maestri scultori autori della fontana o solo coinvolti a vario titolo nell'esecuzione. Il suo autore fu il marmoraro Gaetano Lamberto, in qualche caso letto anche come Lamberti. Costui esegue l'opera seguendo le prescrizioni e le misure prese dall'ingegnere del monastero di quell'epoca, don Pietro Vinaccia, infine, rivisti e qualificati dalle competenze di Domenico Antonio Vaccaro, chiamato per l'apprezzo dei marmi e dei lavori della stessa fontana7(8).


Spazio note

(1)Estratto dal documento di ricerca del professor Giancarlo Alisio relativo al rintraccio della sede delle origini tra quelle esistenti delle università di Napoli. E per esso, il riferimento per questa scheda è ai lavori di Gaetana Cantone, qui riportati: G. CANTONE, Intorno a San Marcellino. L'architettura della trasformazione a Napoli dal Cinque al Settecento, in Il complesso di San Marcellino. Storia e restauro, a cura di A. Fratta, Napoli 2000, pp. 19-55.
(1bis) cf. ASNa, Monasteri soppressi, 3357 bis, 324; Gennaro Borrelli, Dati documentarî per i lavori eseguiti nelle chiese e nei conventi di San Gregorio Armeno …, in Le arti figurative a Napoli nel Settecento, Napoli 1979, 33;.
(2)Il della Monica nel 1581 assiste il convento dei SS. Severino e Sossio nelle acquisizioni di suoli e di immobili, cfr. M. R. PESSOLANO, Il convento napoletano dei SS. Severino e Sossio, Napoli 1978, p. 27. Per l'aggiornamento cfr. G. CANTONE, Storia dell'architettura e conservazione: decifrare e interpretare, in L'Istituto Suor Orsola Benincasa 1895-1995, Napoli 1996, pp. 415-433.
(3) A. S. N., Mon. sopp., fasc. 3435, p. 266.
(4) A. S. N., Mon. sopp., fasc. 3399: 1644-46, ampliamento del convento e riduzione del chiostro per l'inserimento del refettorio con il soprastante dormitorio; 1644, nuobo braccio delle celle e dormitori, capomastro Onofrio Pinto, direttore dei lavori Francesco Antonio Picchiatti "ingegniero", doc. del 12 maggio 1645; 1645, mastro Lonardo Vinaccia "ferraro", per le catene delle fabbrica nuova; 1645, "per fabrica della nuova clausura che si sta facendo nel mon."; 1645, "piperni per le logge delle celle", piombo e ferro per le balaustre; Giovanni Tezone piperniere; Benedetto Geremino e Orazio Pacifico pipernieri; mastro Napoli Chiarello tagliamonte; 1646, lavori fatti nelle celle delle monache da mastro Nicola Pinto.
(5) ASNa, Monasteri soppressi, 3425, 586v.
(6) Fontem / amoeno Aqvarvm lvsv / divitem / dvlce pa - scendis ocVlis spectacvlvm / sacr. Virginvm oblectamento / excitandvm cvravit / Violanta Pignatella / antistita / ære monast. Ann. ϹIϽIϽccxxxiii.
(7) ASNa, Monasteri soppressi, 3363, 333;
(8) Vincenzo Rizzo, Niccolò Tagliacozzi Canale o il trionfo dell’ornato nel Settecento Napoletano, in Settecento napoletano, a cura di Franco Strazzullo, Napoli 1982, 158.