Basilica Sant'Arcangelo in Morfisa Napoli

E' la basilica di San Michele Arcangelo in Morfisa, il complesso architettonico raggiungibile per mezzo della poderosa rampa di scalini in piperno montata ai piedi di Palazzo Pretucci a piazza San Domenico Maggiore, impedita appena da un alto cancello in ferro battuto e che spesso viene confuso con l'ingresso principale alla basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, collocato invece nell'omonimo vicolo lato via Tribunali e più precisamente nella zona antica di San Severo.

Sorge quindi nello spazio che fu prima greco insediato poi dalla comunità dei mecenati alessandrini, ed infine fortificato dalla costruzione del palazzo Petrucci.

Non esiste più come luogo di culto essendone stata inglobata al più grande organismo chiesastico dei Predicatori e dunque la sua facciata minuta condivide lo spazio di sinistra a vista sulla piazza, mentre di San Domenico Maggiore è visibile l'esterno giallo tufo dell'attuale presbiterio, che della quinta sulla piazza ne occupa tutto il fronte centrale ed è collegato a sua volta alla piazza da un altro ingresso in vero poco praticato posto alla base della costruzione.


In questo ambiente vi sono numerosi monumenti funerari databili dal Trecento all'Ottocento.

Sulla parete destra vi è il gruppo cinquecentesco dell'ambito di Giovan Domenico e Gerolamo d'Auria (attivi tra il XVI e XVII sec.).

  • Gli anzidetti due nomi appartengono ai membri della famiglia Rota con al centro il sepolcro di Porzia Capece, moglie dell'illustre poeta Berardino Rota scomparsa nel 1559 a soli 36 anni. Accanto ad essi la fronte del sarcofago trecentesco di Matteo Capuano smembrata e incassata nel muro, mentre davanti è l'ottocentesco monumento funerario di Cesare Gallotti, firmato e datato 1870 dallo scultore Pascuarelli, raffigurante la vedova Carolina Pulieri piangente sul busto del marito. Di fronte sono i cenotafi ottocenteschi di Luigi Ragone e del musicista Nicola Zingarelli, maestro di Vincenzo Bellini e di Giuseppe Saverio Mercadante. In controfacciata è il trecentesco sepolcro del Giudice. Sull'ambiente si affacciano le cappelle di San Bonito, San Domenico e San Giacinto. La prima cappella appartenne, secondo le fonti, al segretario di re Ferrante I, Antonello Petrucci, protagonista della Congiura dei Baroni (1486) che gli valse la morte. Successivamente i Bonito divennero i nuovi proprietari e commisero al carrarese Giuliano Finelli (1601 \2-1653) la statua di San Bonito. La cappella di San Domenico, accanto a quella dei Bonito, è tra le più importanti perché conservò al suo interno una tavola duecentesca, di cultura franco-catalana, raffigurante una delle prime immagini di San Domenico, morto nel 1221, portata a Napoli da fra' Tommaso Agni. L'opera, ora in deposito, fu incorniciata nel Cinquecento da dipinti del fiammingo Teodoro d'Errico (not.1574-1618). All'interno vi sono numerosi rilievi incassati nel pavimento e nelle pareti ma tra tutti spicca, a destra, il bel sepolcro di Tommaso Brancaccio, morto nel 1492, innalzatogli dalla moglie Giulia e opera del milanese Jacopo della Pila (doc. 1471-1502). La cappella di San Giacinto, già patronata dai Brancaccio, fu dedicata al santo dalla famiglia Gesualdo. Giacinto, apostolo della Polonia, è raffigurato nella tavola tardo cinquecentesca dell'altare incorniciata con scene della sua vita.